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I Licantropi esistono?

Immagine del redattore: Elia CristofoliElia Cristofoli


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I licantropi esistono?

Sì, esistono! Calma, aspettate a chiamare la neuro. Dunque, per chi non lo sapesse, la licantropia è una malattia mentale scientificamente riconosciuta, per la quale il malato, detto appunto licantropo (dal greco «lýkos», lupo, e «ánthrōpos», uomo), soffre di delirio di trasformazione somatica, vale a dire, crede di trasformarsi in una bestia feroce, spesso in un lupo, di cui ne imita anche i comportamenti, ululando alla luna, fuggendo tra i boschi e cibandosi di carne cruda.

Tuttavia, talvolta, la licantropia può degenerare in qualcosa di peggio, come nel celebre caso del tedesco Peter Stubbe, uno dei primi serial-killer di cui si abbiano notizie, che nel XVI Secolo sbranò letteralmente diverse donne e parecchi bambini, fra i quali i suoi stessi figli. Il suo rituale consisteva nell’azzannarli alla gola, trascinare i loro cadaveri in luoghi isolati e trangugiare il loro sangue. Lo faceva anche con gli animali. Era infatti solito aggirarsi tra le fattorie di notte, squartare bestiame e ingozzarsi di carne sanguinolenta. Disgustoso!


Peter Stubbe

L’inquisizione lo catturò e gli estorse una bella confessione, rigorosamente sotto tortura, durante la quale Stubbe raccontò di aver stretto un patto col diavolo, il quale gli avrebbe dato il potere di trasformarsi in un lupo ogni volta che lo volesse. Fu condannato a una morte lenta e dolorosa, tramite il supplizio della ruota, tenaglia incandescente e decapitazione. Per non correre rischi, il tribunale condannò anche la compagna e la figlia, con l’accusa di complicità. Le due vennero arse vive, com’era uso a quei tempi.


Un altro vero licantropo, di quelli veramente maledetti, è Benedetto Santapaola, detto appunto il Licantropo, perché affetto da licantropia clinica. Si tratta di uno dei più sanguinari boss mafiosi della storia di Cosa Nostra, responsabile di diversi omicidi, non so dirvi quanti, nonché della strage di Via Chiarini, dove venne ucciso il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, padre della conduttrice televisiva Rita dalla Chiesa. Oggi, Il Licantropo sconta il suo ergastolo in regime di 41 Bis.


Ma parliamo di licantropi più divertenti, tipo quelli dei film. Per esempio, per chi non lo sapesse, il licantropo così che conosciamo oggi è un’invenzione della Universal. Ma a differenza dei suoi sbanca-botteghini horror come Dracula e Frankenstein, il lupo mannaro non proveniva da un romanzo o da una letteratura ben precisa, così gli autori si inventarono di sana pianta tutto quello che poi entrò a far parte del nostro immaginario, la metamorfosi, la luna piena, l’argento eccetera. Così, a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, uscirono «Il Segreto del Tibet», «L’Uomo Lupo» e il primo crossover della storia, «Frankenstein contro l’Uomo Lupo». Da qui fino agli anni Settanta, i film sui lupi mannari si sprecavano, perlopiù b-movie, se non addirittura z-movie. L’unica citazione che mi sento di fare è la demenziale battuta contenuta nello spassosissimo Frankenstein Junior, del 1974, del mitologico Mel Brooks. Scena: il Dottor Frankenstein, interpretato dal compianto Gene Wilder, è sulla carrozza con Igor, interpretato dal grandioso Gianni Bonagura. A una certa, si sente un ululato. «lupo ulula», esclama il dottore, «lupu ululà, là!» replica Igor. «Cosa?», «lupu ululà e castello ululì!», battuta simile a quella in lingua originale, perché si dà il caso che licantropo in inglese si dica «werewolf», il che ha permesso a Brooks di giocare con le parole «where-there». Semplicemente geniale!



Ma per andare sul serio, occorre attendere gli anni Ottanta, con titoli come «L’Ululato», di Joe Dante, «Un Lupo mannaro Americano a Londra», di John Landis, fresco di «The Blues Brothers» e «Unico Indizio la Luna Piena», di Daniel Attias. In realtà, in quegli anni i film sui licantropi si sprecavano, ma solo uno avrebbe fatto realmente la storia, piazzando le basi per una fortunatissima serie tanto amata dalle nuove generazioni. Sto parlando di «Voglia di Vincere», del 1985, di Rod Daniel, con l’irraggiungibile Michael J. Fox, sì quello di «Ritorno al Futuro», che da decenni combatte contro il Parkinson, malattia maledetta. Forse il titolo in italiano non vi dice granché, ma cosa accade se usiamo il titolo originale «Teen Wolf»? Proprio così, l’acclamata serie tv del 2001-2017, comprendente ben 6 stagioni, deve la sua esistenza proprio alla commedia con Fox.



Probabilmente, molti di voi la considerano una cagata, ma a me è piaciuta anche la saga cinematografica di «Underworld». E non lo dico perché la protagonista è Kate “guarda che figa” Bakinsale, noooooo, ma cosa credete! La saga racconta dell’eterna lotta tra vampiri e lycan, come vengono simpaticamente chiamati i licantropi. Ah, l’ho già detto che c’è  Kate Bakinsale?

Ma restando in tema «belle cagate», quindi sì cagate, ma belle, non posso non menzionare «Van Helsing», del 2004, di Stephen Sommers, gran regista, con Hugh “Wolverine” Jackman nella parte dell’ammazza-mostri, dove i licantropi hanno un design davvero massiccio!

L'ultimo uscito (2025) è «Wolf Man», di Leigh Whannell, su cui ho alte aspettative, poiché si tratta del direttore di «Insidious 3» del 2015 e de «L’Uomo Invisibile» del 2020, nonché sceneggiatore e produttore dell’immensa saga di «Saw». Mentre scrivo questo articolo, devo ancora vederlo, perciò evito di parlarne...

Ossequi, miei cari licantropi affamati di costate al sangue…

Buio…


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