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NB
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Dunque… Per chi non lo sapesse, il cyberpunk è un genere narrativo caratterizzato da una forte componente futuristica, quindi impianti cyborg, ologrammi, droni e compagnia bella, da generosissime dosi di distopia proto-fascista, a cui si contrappone una controcultura anarco-punk, talvolta limitata alla sola estetica, talaltre a vere e proprie rivolte di ribelli…
L’Internazionale Cyberpunk – che non esiste – ha decretato che il 1977 corrisponde all’anno di nascita del genere, guarda caso, in concomitanza con l’uscita del primo numero del fascistissimo Giudice Dredd, del mitico John Wagner.
In quel tempo, io non ero ancora un semino nell’attrezzo di mio padre, ma avrei incontrato Dredd negli anni Novanta, quando lo prese in custodia cautelare, si fa per dire, la DC Comics, e Wagner iniziò a collaborare con l’acutissimo Alan Grant.
L’oltraggioso fumetto britannico è ambientato a Mega City One, una megalopoli grande quanto uno stato, dove i mega-edifici sono praticamente quartieri, la gente è sempre più povera, i ricchi sono sempre più ricchi, e la politica è in mano alle mega-corporazioni.
Più o meno la direzione che abbiamo preso da anni…
Esattamente!
Dredd è il prodotto di questo mondo dispotico e dispotico, dove il ruolo del giudice è al tempo stesso quello del poliziotto, della giuria, e del carnefice. In pratica, se ti prende in castagna, può sentenziare seduta stante la tua condanna, pena capitale inclusa. Batman spostati! Le architetture, il design dei veicoli e gli abiti rispecchiano fedelmente ciò che, negli anni successivi, sarebbero stati gli elementi identificativi del cyberpunk.
Ci hanno fatto due film, il primo nel 1995, «Dredd – La Legge Sono Io», con un ottimo Sylvester Stallone, al quale i fan, fra i quali me, non hanno mai perdonato il fatto che si togliesse il casco. Nei fumetti, Dredd non si è mai visto senza!
Il secondo nel 2012, con Karl Urban, il Butcher di «The Boys», altro fumetto della DC. Questo movie è decisamente molto più fedele al fumetto, seppur molto meno violento e oppressivo...
Anyway, noi italiani siamo bravi a copiare, e spesso a fare di meglio dell’originale! Così, dal britannico Giudice Dredd, nasce il nostrano Ranxerox, di Stefano Tamburini – pace all’anima sua – e del più grande disegnatore dell’universo, ma che dico dell’universo, del multiverso, quello che mi ha segnato più di tutti in modo irreversibile, Sua Maestà Tanino Liberatore.
Per chi non lo sapesse, Ranxerox è il fumetto cyberpunk che tutto il mondo ci invidia, poiché nessuno ha mai più raggiunto vertici simili, sia nel disegno. Tant’è che nel 1990, quindi ben trent’anni prima ci Cyberpunk 2077, la Ubisoft ne fece un videogioco. Così, per dire…
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Siamo in una Roma anni Ottanta, fatiscente, degradatissima, violentissima, sessualmente esplicitissima e blasfemissima. Insomma, Roma... Ma illustrata con design futuristici e auto svolazzanti. Ranx è un androide coatto, innamorato di una lolita tossica di nome Lubna – sì, è pure un pervertito, non ci sono limiti in questo fumetto. Anche per questo, la trasposizione cinematografica ha sempre trovato grosse resistenze. Questo e la quantità di bestemmie a caratteri cubitali... Lubna e le sue amichette si fanno di ero, che a Ranx però non fa alcun effetto, perché è un robot. In compenso, si spacca di Vinavil…
Ranxerox è una delle più feroci critiche al consumismo sfrenato degli anni Ottanta, che per assurdo non era niente in confronto a quello di oggi. Se non avete mai letto Ranxerox, non avete mai letto un fumetto! Chiuso il discorso.
– Znort –
Ergo, il cyberpunk nasce prima di tutto dal fumetto, ma tra i suoi precursori dobbiamo ringraziare la penna del grandioso Philip K. Dick, il quale, per molti aspetti, seppe anticipare di decadi il genere in questione. Chi non l’avesse mai letto, avrà perlomeno sentito parlare di capolavori del cinema quali «Blade Runner», del 1982, di Ridley Scott. Tra l’altro, in questo film, così come nel sequel di qualche anno fa, ritroviamo le stesse atmosfere di Cyberpunk 2077. E poi «Atto di Forza», del 1990, con uno Schwarzenegger all’apice della sua carriera.
D-d-due settimane…
Ottima citazione, cervello!
D-d-due settimane…
Ok, abbiamo capito, ora falla finita!
E come non ricordare la polizia pre-crimine di «Minority Report», di Sua Eccellenza Steven Spielberg, con Tom Cruise e Colin Farrell, a cui dicono che somiglio – peccato non nel conto in banca – e poi ancora «Screamers», «Paycheck», «Next», «I Guardiani del Destino», «A Scanner Darkly», folle filmone animato tutto in rotoscopio, con Kenau Reeves, e il remake di «Atto di Forza», di nuovo con Colin Farrell, più fedele al libro ma meno spassoso di quello con Schwartzy, e insomma, nemmeno Wikipedia sa quanti film siano stati tratti dai libri di Dick!
Ergo, va sottolineato che il cyberpunk è un figlio non riconosciuto degli anni Settanta, ma adottato amorevolmente dagli anni Ottanta. Da allora, non ha mai smesso di crescere, talvolta mantenendo un profilo basso, altre volte riemergendo con incredibile veemenza, com’è accaduto, per esempio, nel 1997 con «Il Quinto Elemento», del francese più prolifico di sempre, Luc Besson, con un tutto d’un pezzo Bruce Willis e una bomba super sexy Milla Jovovich. Questa pellicola trasuda cyberpunk da ogni inquadratura. Consigliassimo agli amanti del cinema scifi.
Ma è nel 2000 che il cyberpunk rivive una nuova era, con il film che avrebbe scardinato completamente le regole del cinema, non tanto per la narrativa squisitamente cospirazionista, ma più che altro per le innovative tecniche di ripresa e di montaggio, tanto sperimentali quanto sbalorditive, bullet-time in primis. Sto parlando di «Matrix», degli allora fratelli – perché oggi sono sorelle – Wachowski.
Come molti di voi sanno, Matrix condivide un elemento non da poco col già citato capolavoro della polacca CD Projekt RED, Cyberpunk 2077, e quell’elemento è Keanu Reeves, rispettivamente nelle parti di Neo e di Johnny Silverhand. Ma su Cyberpunk 2077 è già stato detto di tutto e di più, non avrei molto da aggiungere, se non che l’ho finito già sei volte con la solita amarezza dovuta all’abbandono di Judy – zoccola maledetta – Già…
Ma prima di lasciarvi, vi suggerisco altra roba cyber, come «Tetsuo», film giapponese dell’88 in cui un tizio si trasforma progressivamente in un ammasso bio-cibernetico. Nello stesso anno abbiamo «Akira», capolavoro anime/manga del maestro Katsuhiro Ōtomo. Qualsiasi film dell’universo «Terminator», dove cyber e punk vanno a braccetto sin dal primo film del 1984, dell’avatariano James Cameron. E ancora i «Robocop» degli anni Ottanta, violentissimi come pochi film al mondo.
Vivo o morto tu verrai con me!
E come dimenticare «1997 – Fuga da New York», del mitologico John Carpenter, cyberpunk persino nelle musiche, composte dallo stesso Carpenter. E ancora «Johnny Mnemonic», del 1985, sempre con Reeves – a quanto pare l’attore prefe del genere – «Equilibrium», del 2002, che più distopico non su può, con un brillante Christian Bale, «L’Esercito delle Dodici Scimmie» e «The Zero Theorem» di Terry Gilliam, rispettivamente del 1995 del 2013, e molti, troppi altri…
E come fumetti suggerisco invece l’acclamatissimo «Ghost in The Shell», ma anche il mio preferito, «Hard Boiled», scritto da Vostra Grazia Frank Miller e disegnato dal maniacale Frank Darrow, da perderci gli occhi nei suoi particolari, e non tralasciamo il bonelliano «Nathan Never», che male non fa, per non parlare del folle «Tank Girl» (di cui vi lascio una GIF tratta dal film anni Novanta), di Jamie Hewlett, quello dei Gorillaz.
E nonostante il cyberpunk non sia un genere musicale, vi suggerisco comunque della roba in tema, come i VNV Nation, a cominciare dalla meravigliosa Illusion, inutile citare i Nine Inch Nails e Marylin Manson, ma occorre strizzare l’occhio alla EBM dei KMFDM, dei Suicide Commando, o degli Hocico, o il neo-folk dei Von Thronstahl, forse un po’ nostalgici, ma la musica spacca, e poi l’industrial-metal dei Fear Factory, così come i Rammstein, i brani di Kavinsky, del compositore Paul-Leonard-Morgan, ovviamente dei Cyberpunkers, nomen omen, e il gustosissimo industrial-cyber-black-metal degli italianissimi Aborym…
Buiooooo…