41 anni e non sentirli. Dico sul serio, non li sento! Cioè, non mi pare sentirli, se non per il fatto che so di averli. Comunque sia, li ho. Li ho fatti oggi, e non mi pare sia cambiato chissà cosa rispetto a quando ne avevo 23, o 29, o 32 o 37. Più o meno mi sembra di essere la stessa testa di cazzo di sempre. A livello fisico, mi sento pressapoco in forma, forse di più, anche se sono ben conscio che si tratta perlopiù di una sensazione. Se poi mi guardo allo specchio, per carità, noto l’invecchiamento, più che altro nei capelli brizzolati ai lati. E comunque li ho ancora tutti, lunghi e tenaci come un tempo.
A livello intellettuale, invece, non posso certo dire la stessa cosa. Sono molto più maturo. E spesso mi chiedo come sarei oggi, se fossi stato così già a 18 anni. Mi immagino di poter trasferire la mia coscienza odierna nell’Elia adolescente, con tutto il bagaglio culturale, le esperienze, la dialettica, la capacità di intortare e di trasferire le emozioni, tutto quanto. Beh, che figata! Chissà dove sarei oggi, chi sarei diventato? Poi, pensandoci bene, è probabile che sarei tre metri sotto terra. Perché oggi mi danno del sarcastico, o del cinico, ma a 18 anni mi avrebbero dato del lingua-lunga, e quelli con la lingua lunga a quell’età non fanno una bella fine. Non negli anni Novanta perlomeno. Oggi, invece, ti fanno Influencer… 😂
Comunque sia, se mi guardo indietro, mi accorgo di essere pieno di rimpianti. E diffido da chi sostiene di non averne. Tutti ne abbiamo! Tutti ci chiediamo come sarebbero andate le cose se avessimo fatto una scelta piuttosto che un’altra, se avessimo intrapreso un’altra strada, o se avessimo preso quella scorciatoia anziché restare fedeli ai nostri principi. Principi che inevitabilmente oggi sono diversi, più maturi, per qualcuno addirittura completamente opposti. In vent’anni si cambiano molte idee. È stupido chi non cambia mai idea. Non fraintendetemi, sono piuttosto fiero della mia vita, ma mi chiedo semplicemente vari chissà... Per esempio, mi chiedo: e se avessi fatto l’università? E se a vent’anni fossi andato negli USA a cercar fortuna? E se avessi continuato a suonare con i Godless? E se fossi rimasto con quella tizia? E se avessi accettato quella proposta in Rai? E se questo? E se quello? Sono «se» che non hanno senso, perché appartengono alla cosiddetta «acqua passata». Ma mi piace immaginarmi come sarebbero andate le cose. E mi immagino una sorta di multiverso, dove in ogni realtà parallela Elia è un altro tipo di Elia. In una realtà sono un insegnante di filosofia. In un’altra sono un avvocato penalista. In un’altra un politico progressista. In un’altra un ispettore di polizia. In un’altra ancora sono un attore affermato. C’è pure quella in cui sono un attore porno 🙄. Mi sarebbe piaciuto fare tutte quelle cose. Certo, si fa sempre in tempo, penserà qualcuno. Vero, ma sapete, il tempo concessoci su questa terra è limitato, e non potremmo mai fare tutto ciò che vorremmo fare. Perlomeno non avremmo sufficiente tempo per eccellere in tutto. Nel senso che potrei certamente iscrivermi a giurisprudenza, ma anche riuscissi a dare tutti gli esami e uscire con il massimo dei voti, tra tirocinio, praticantato e tutto il resto, bene che mi andasse, riuscirei a iscrivermi all’albo che avrei già sessant’anni. Chi cazzo si fiderebbe di uno che è diventato avvocato a sessant’anni, siamo seri. Per cui no, non si può far tutto. Per quanto riguarda l’attore porno, ve lo concedo, per quello si fa sempre in tempo. Ma stavo solo scherzando a riguardo. 😂
Ma ora vediamo un po’ di avvenimenti a casaccio tra quelli che hanno segnato la mia esistenza…
1979: nacqui. 🙃
1984, iniziai le elementari.
Ricordo quel giorno con grande lucidità, con quella cartella enorme che mi pesava sulla schiena. Ma tanto che mi fregava, dovevo solo attraversare la strada ed ero già a scuola. Giurò, le scuole elementari erano proprio dall’altra parte della strada. E c’erano solo cinque classi, la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta. Ricordo i miei amici di allora, Marco, Christian e Denis. Eravamo sempre insieme. E ricordo che già allora ero un playboy 😎, e mi piacevano la Cristina e la Francesca, la mora e la bionda, proprio come in È quasi magia Johnny, cartone che adoravo, non so se avete presente… Vabbé. 😑
1986, il disastro di Chernobyl.
Me lo ricordo perché i nostri genitori non facevano che ripeterci di non mangiare l’erba. «Ma non siamo mica mucche» rispondevo ogni volta io. In effetti, perché diavolo avremmo dovuto mangiare l’erba? Nessuno di noi l’avrebbe mai fatto! O meglio, nessuno di noi l’avrebbe mai fatto, se non ci avessero fatto venire la voglia di farlo. Così mangiavamo l’erba, solo per dare fastidio ai nostri genitori. E faceva schifo, ma non perché fosse radioattiva, ma perché era erba, e l’erba fa schifo. 😐
1991, le medie.
Non so voi, ma per me furono un trauma! Ogni giorno avevo il terrore di andare a scuola perché sapevo che mi sarei preso una nota. E ogni giorno avevo il terrore di tornare a casa perché sapevo che avrei dovuto farla firmare da mia madre. Che strazio! E poi c’erano i bulli di terza. Mi rubavano sempre la merenda, così un giorno decisi di fargliela pagare. Presi un grosso ragno dal garage, lo spiaccicai nel panino al prosciutto e lo impacchettai nel cellofan come sempre. Durante la ricreazione, quello stronzo del Jerry, coi suoi scagnozzi al seguito, venne a riscuotere da me e dai miei amici. Io gli diedi il mio panino senza esitazione, anzi, un po’ ridevo sotto i baffi. «Cazzo ridi?» bofonchiò il Jerry. «Niente», risposi io, «mi è venuta in mente una barzelletta». Allora mi chiese di raccontargliela per far ridere anche lui, e gli raccontai quella di Pierino che salta di qua e di là come un matto, e la maestra gli fa «ma cosa fai, Pierino?», e lui «ho preso lo sciroppo senza agitarlo prima, così lo faccio adesso». Ci misero un po’ per capirla, ma poi scoppiarono a ridere e si levarono dai piedi. Ma io e i miei amici li seguimmo e ci appollaiammo dietro a una siepe in giardino per goderci la scena. Il Jerry si ingozzò col panino senza accorgersi minimamente della bestiaccia nera e pelosa che ci avevo ficcato dentro. Divenni ufficialmente il nuovo stronzetto delle medie. 😎
1992, una tragedia.
Un giorno, le scuole medie Italo Montemezzi di Vigasio erano circondate da sbirri e da giornalisti. Sembrava di essere in un film. In pratica, era successo che una nostra compagna era stata messa incinta da un coglione di 19 anni. Nessuno di noi se ne era mai accorto. Sì, ok, l’avevamo vista un po’ ingrassata, ma in quegli anni eravamo tutti vestiti di merda, con maglioni larghi e nessuno ci aveva fatto caso. E comunque, nessuno avrebbe mai immaginato che fosse incinta. Comunque sia, suo padre con la complicità di altri tizi, l’avevano fatta partorire in casa in segreto. Ma nel momento in cui l’avevano lasciata sola, lei scagliò il neonato dalla finestra del secondo piano. Fu un caso nazionale, alla tv non parlavano d’altro e i giornalisti ci assalivano ogni giorno, e noi correvamo fino all’autobus perché non volevamo che ci facessero dire brutte cose della nostra compagna. Una volta, uno di loro mi strattonò da un braccio continuando a farmi domande, io gli sferrai una serie di calci, ma quello era grande e grosso e non gli facevo niente. Ma il Vanni mi corse in aiuto da dietro e gli diede un calcio nelle palle, io mi liberai e scappammo via insultandolo con le poche parolacce che conoscevamo…
1994: il liceo artistico. Beh, il primo anno successe di tutto. Ascoltai la mia prima cassettina di death metal, Bestial Devastation dei Sepultura, per l’esattezza. Feci la mia prima scopata, con una tizia di 18 anni. Ricordo che quando mi chiese «com’è stato?», io esitai a risponderle, e infine le dissi «beh, come farsi una sega». Mi diede una gomitata e scappò via piangendo. Mah, valle a capire le donne! 😐 E poi mi feci la mia prima canna, fu Marchetto a offrirmela. Non sentii nulla. Ma il giorno dopo ne facemmo un’altra, mi venne su quella del giorno prima e apriti cielo. Tornai in classe che improvvisamente mi erano tutti simpatici…
1996, la prima volta che morii.
Stavamo andando a un rave clandestino, di quelli che ti dicevano all’ultimo l’ubicazione, con un messaggio in codice sui cellulari d’anteguerra che pochi di noi avevano. Io ce l’avevo. Comunque sia, dopo aver fatto a botte con dei coglioni a un distributore di benzina, e dopo aver ripetutamente sbagliato trada, alla fine, verso mezzanotte, arrivammo alla strada che portava al rave, tra i monti intorno a Bassano del Grappa. Si trattava di una stradina buia, eravamo incolonnati con chissà quante macchine che avanzavano a passo d’uomo. C’erano un sacco di butei che procedevano a piedi. A una certa, dissi ai miei amici che sarei andato a piedi anch’io, così avrei tenuto un posto macchina. Era una cazzata, in realtà ne avevo piene le palle e non vedevo l’ora di incontrarmi con una tipa con cui avevo un mezzo puntello. Io ero seduto dalla parte del passeggero, al volante c’era Sam, e dietro altri tre stronzi come noi. Aprii la portiera e dissi «ci vediamo là, chiamatemi appena arr», puff, Elia era sparito. Sentii che stavo precipitando nel buio, finché rallentai la caduta per appollaiarmi sdraiato su quello che sembrava essere un cespuglio bello fitto. Vidi una luce dall’alto che svolazzava. Era una torcia. Poi sentii che mi chiamavano, «ELIA! ELIA! ELIA!». «Sono qui!», rispondevo io. La torcia finalmente mi intercettò. A quel punto vidi i miei amici, lassù, a circa 4-5 metri da me. Carletto sfilò un coltello grande come il suo avambraccio e uscì di scena per qualche minuto. Tornò con un ramo molto lungo, forse un albero intero. La gente intanto si era radunata a guardare. Qualcuno provava a fare delle foto coi cellulari d’epoca, tipo 650x480 pixel se ti andava bene. Mi aggrappai al ramo-albero e i ragazzi mi issarono su. Ricordo che in quel mentre, mi squillò il telefonino, ed io riuscii pure a rispondere. Era la tipa con cui avevo il mezzo puntello, «ciao Ely, come va?» mi chiese, «sostenuto» le risposi, o qualcosa del genere. Comunque sia, andammo al rave e ballammo hardcore tutta notte. Poi, la mattina, con la luce del sole, ci rendemmo conto di quanto fossi stato fortunato. La stradina che stavamo percorrendo, affiancava una scarpata. Nel momento in cui uscii dall’auto di Sam, precipitai proprio in quella scarpata. E c’era un albero. Un pino. Uno solo. Era cresciuto praticamente in orizzontale sulla roccia. Io ero atterrato tra i suoi rami. Altroché cespuglio! I miei amici mi dissero che avevo avuto un «culo della madonna», così si dice dalle nostre parti. Fu la prima volta che morii. 😐
1998, la seconda...
La seconda volta che morii fu a Lazise, sul Lago di Garda. Stavo tornando da casa della mia ragazza di allora, col suo motorino tra l’altro. All’improvviso, un olandese mi tagliò la strada per fermarsi sulla destra, e aprì la portiera di scatto senza degnarsi di guardare dietro. La centrai in pieno, volando con tutto il motorino a una decina di metri più in là, proprio sull’altra corsia, dove stava arrivando un’altra auto. Ricordo di aver visto lo pneumatico inchiodarsi a pochi centimetri dalla mia faccia. Mi rialzai alla bell'e meglio, mi girava tutto, mi veniva da vomitare. E ricordo che quell’olandese stava inveendo contro di me, mentre la sua famiglia ariana era sgomenta dalla scena. Quel padre di famiglia era così adirato con me, come fosse stata colpa mia, che fece per sferrarmi un pugno, ma delle persone fermatesi a prestarmi aiuto, lo bloccarono prima che ci riuscisse. Comunque sia, persi i sensi e caddi a terra come un sacco di patate. Mi risvegliai all’ospedale di Peschiera con una dolce infermierina che mi diceva cose carine sui miei capelli – li avevo lunghissimi, fin oltre il culo. Della famiglia ariana nessuna traccia. Nessuno si era preso la briga di denunciarli, manco di tirar giù la targa, niente di niente. Fanculo! Arrivarono la mia ragazza e suo padre, che mi riportarono a casa loro. Passai la notte dolorante, tutto fasciato e con la mano steccata. Nel momento in cui presi sonno, un dolore lancinante mi folgorò la mano. Mi svegliai di soprassalto e il fratellino piccolo della mia ragazza era lì in piedi, di fianco al letto, con un ghigno malefico stampato in faccia, e mi disse «ti fa male se tocco qua?» e mi toccò di nuovo. Figlio di p…
2001, una nuova era.
Ero in Sardegna con Omar, un mio caro amico. Stavamo passeggiando per le vie di Cagliari a far foto di scorci. Io e Omar facevamo foto pazzesche allora. A un certo punto, ci accorgemmo che le persone si radunavano davanti alle tv delle edicole e dei bar. Andammo a dare un’occhiata anche noi, perché la cosa era strana. Vedemmo le Torri Gemelle in fiamme. Era l’11 settembre. Il panico crebbe di minuto in minuto e la tensione si tagliava con un coltello. Saremmo dovuti tornare a Verona un paio di giorni dopo, ma sembrava che tutti i voli fossero stati sospesi. La gente non parlava d’altro. Si era diffusa una paura fottuta. E non era una paura irrazionale, ma beb motivata. Perché per la prima volta ci sentimmo tutti vulnerabili. Se si poteva far quello alla nazione più potente del mondo, erano cazzi… 🙁
2005, il mio primo videoclip da regista.
Era un video per una band black-metal sinfonico veronese, i Riul Doamnei. Avevo una troupe di quindicimila persone, 😂, tutti amici. Io facevo il regista, Mirko il direttore della fotografia, il Lem stava in camera, la Julia truccava, il Valdes faceva il producer, il Dilly montava, e così via. Eravamo ben attrezzati e abbiamo pure rischiato la vita, perché lo girammo in notturna in un forte diroccato dalle parti della Valpolicella. C’erano i buchi per terra ed era facile finirci dentro. Li coprimmo alla meno peggio con delle assi e dei teloni. A una certa, verso le 4 di mattina, gridai il nome del Betta, il quale sarebbe dovuto venire sul set con il barattolo di vermi, che il cantante avrebbe dovuto masticare. Una cosa orribile...
Comunque il Betta non si fece vivo. Ci preoccupammo subito, sospendemmo momentaneamente le riprese e andammo a cercarlo, setacciando l’area con le torce e gridando «BETTA! BETTA!». Ma niente, il Betta non rispondeva. Temevamo il peggio, tipo che fosse caduto in uno di quei buchi, o peggio, giù dal burrone. Insomma, dopo mezz’ora che lo cercavamo disperatamente, il Betta uscì da una siepe, bianco cadaverico, gli occhi rossi. «Dove cazzo eri finito?». In pratica, confessò di aver bevuto troppe Redbull per restare sveglio, di aver avuto un attacco di squaraus e di essere andato a farla in fianco al generatore. 🤦🏻♂️Lui ci sentiva mentre lo chiamavamo, ma noi non sentivamo lui mentre gridava «SONO QUI», coperto dal motore del generatore. Da allora, mai più Redbull sui set. 😐
2006/2020, Troppa roba, dovrei scrivere un altro libro… 😂
Auguri a me e a tutti coloro nati il 24 febbraio.
Elia,
ossequi